La Chiesa custodisce anche due tesori d’arte e di fede: il quadro della “Sacra pastora”, olio su tela di Domenico Fiasella (sec. XVII) – detto anche “il Sarzana” dal paese di origine e pittore fra i massimi esponenti della scuola barocca genovese – raffigurante la Sacra Famiglia che incontra Giovanni Battista bambino nel deserto e soprattutto il Crocifisso miracoloso (scultura in avorio del sec. XVII).
Miracoloso perché, caduto in mano a pirati saraceni e fatto oggetto di oltraggi e colpi di pugnale, si mise a sanguinare.

«Nel marzo 1641, un cavaliere portoghese aveva acquistato a Goa, in India, un artistico crocifisso di avorio, opera di un bravo artista locale, un indiano di famiglia cattolica. Stava ritornando in patria quando il vascello venne attaccato dai pirati turchi. Condotto prigioniero ad Algeri, il crocifisso gli venne tolto, venne esposto sulla pubblica piazza, e sottoposto alla derisione pubblica, una specie di “via Crucis”, un secondo martirio. Sono ancora visibili i segni delle pugnalate e frustate che il crocifisso ricevette da parte della folla. Ed ecco che avvenne un segno miracoloso, registrato nelle cronache del tempo, e che lasciò una profonda impressione negli animi dei fedeli musulmani, presenti numerosi quel giorno in piazza: comparvero alcune gocce di sangue sul volto, sulle mani, dalla ferita del costato e dalle ferite delle scalfitture, e il crocifisso cominciò a sanguinare. Era presente quel giorno anche un frate carmelitano ligure, Padre Michelangelo di Gesù (Marchese), anch’egli schiavo ad Algeri. Egli riuscì con un grande sforzo a raccogliere la somma necessaria all’acquisto del crocifisso, nel frattempo passato ad un mercante ebreo. Fu così che il crocifisso entrò di nascosto nel carcere dei cristiani, e lì raccolse le loro preghiere e lacrime. Davanti a questo crocifisso, il venerabile Padre Michelangelo celebrava ogni giorno l’Eucaristia, di notte, mentre tutti i prigionieri cristiani si univano in fervente preghiera, e i moribondi deponevano sulla croce gli ultimi baci. Grazie a questo crocifisso, Giuseppe da Morano, un cristiano che si era allontanato dalla fede, ed aveva pubblicamente apostatato, ritrovò il coraggio ed il conforto della fede, e morì martire sul rogo. Nel 1643 Padre Michelangelo venne liberato. Egli riuscì a portare in Italia il crocifisso, donandolo al Superiore Generale dei Carmelitani Scalzi, il genovese Padre Paolo Simone (Rivarola). Egli lo destinò al Deserto di Varazze, dove venne definitivamente posto nel 1646. Qui venne conservato con affetto fino alla prima soppressione da parte del Governo Francese, nel 1799. Trasportato nel convento carmelitano di S. Teresa, a Genova Voltri, ritornò nel Deserto nel 1819, insieme alla ricostituita comunità di eremiti carmelitani. Ma una seconda soppressione, questa volta da parte dello Stato Sabaudo, nel 1858, costrinse nuovamente i frati a fuggire, insieme a questo crocifisso miracoloso, che li accompagnava nelle loro vicende. Affidato alle monache carmelitane di clausura di Genova, qui venne conservato per quasi un secolo, fino a quando i frati poterono tornare al loro eremo, nel 1955.

 

PREGHIERA AL CROCIFISSO

Mio Dio, ti amo vedendoti così,
inchiodato su questa croce
imporporata dal tuo sangue.
Amo le tue piaghe, la tua morte,
perché quel che amo è il tuo amore.
Al di là dei tuoi doni
e delle tue speranze,
se anche non esistessero cielo ed inferi,
io lo so – Signor mio Gesù – che ti amerei ancora.
Amarti è la mia felicità, tanto quanto è il mio dovere.
Aiutami a ripetere con te: “Sia fatta la tua volontà!”

Amen

Teresa di Gesù

PREGHIERA AL CROCIFISSO

Sotto la croce,
ho capito il destino del vero popolo di Dio:
coloro che capiscono che cos’è la croce di Cristo,
la prendono su di sé, seguendo l’invito di Gesù,
in nome di tutti gli altri.
La fede viva nel crocifisso,
accompagnata da dedizione amorosa,
è per noi la porta di accesso alla vita
e l’inizio della futura gloria.
La croce si slancia verso l’alto,
bussa alla porta del cielo e la spalanca.

Amen

Edith Stein – S. Teresa Benedetta della Croce

Il Venerabile Padre Michelangelo di Gesù
Matteo Marchese nasce a Portofino nel 1599. Entrato nel seminario di Genova, viene ordinato sacerdote nel 1622. A 28 anni sente la chiamata ad appartenere alla famiglia di Santa Teresa, ed entra nel convento carmelitano diventando “Michelangelo di Gesù”. Mentre in Italia infuriava la peste, viene inviato dai superiori nel convento di Mondovì (CN). Il giovane frate si impegna al servizio degli appestati fino ad ammalarsi, riuscendo però a guarire. Nel 1638 viene assegnato alla missione carmelitana di Isfahan, in Persia (odierno Iran). È durante un viaggio di ritorno da lì, in nave, che viene catturato dai pirati turchi, e condotto prigioniero ad Algeri (1640). Liberato nel 1643, torna a Genova, ma nel 1648 riparte nuovamente in missione, questa volta per Candia (Cipro). Tornato per breve tempo in Italia, riparte verso il luogo di origine dei Frati Carmelitani, il monte Carmelo, nel nord della Terra Santa, soggetta in quel momento alla dominazione turca. Dopo un altro breve periodo di missione nelle isole di Zante, Corfù e Cefalonia, nel 1658 fa ritorno definitivamente a Genova, dove muore nel 1661, circondato da una crescente fama di santità. Nella cripta, sotto la chiesa del Deserto, dove si conservano reliquie di missionari e santi, secondo le consuetudini del tempo, si trova tra le altre, proprio l’avambraccio di Padre Michelangelo. Nella cappella del crocifisso invece, in chiesa, un quadretto lo raffigura mentre regge il crocifisso “miracoloso”.