Il convento

Risale al 1988 l’incarico all’ing. Luciano Grossi Bianchi e all’architetto Giovanni Grossi Bianchi, di redigere il progetto per il totale recupero del Convento, dopo il degrado dei tanti anni: dal 1866 al 1954 il convento è stato utilizzato come caserma militare e quindi trasformato secondo le necessarie esigenze del presidio,(con i Padri relegati in pochi locali sopra la sacrestia, dietro la chiesa), mentre negli anni ’50 è stato destinato ai più diversi usi impropri. Solo nel 1969 è stato finalmente restituito ai Carmelitani.

I lavori iniziano, per la ferrea volontà del Padre Provinciale, nel marzo 1993 ad opera dell’impresa Frigè di Bergamo e si interrompono nel 1995, in attesa dei finanziamenti per il prosieguo della complessa ed articolata operazione di recupero.

Il primo lotto interessa la parte più degradata (e pericolante) dell’edificio.
Nel progetto prevale come fondamentale e determinante il concetto del rispetto e della conservazione delle architetture originarie, iniziando da approfondite indagini conoscitive sui documenti e sulle stesse strutture edilizie mediante analisi archeometriche.
Si rimettono in luce e si valorizzano le parti antiche (con particolare attenzione al chiostro, il fulcro del complesso seicentesco) e quelle relative alle successive fasi di sviluppo e di modifiche – “le parti aggiunte nell’800” – (in special modo l’ala su via Untoria, in linea con le altre case dell’allungata antica arteria), eliminando le sovrastrutture e le superfetazioni nonché i resti visibili ancora – sul lato est – delle demolizioni, avvenute per la riapertura di quel tratto di strada (negli anni ’60) che si chiamò prima via Manzoni, poi via Nostra Signora dell’Olmo.

Del convento su via Untoria e su via N. Signora dell’Olmo, al degrado degli anni precedenti, si contrappone oggi l’equilibrato ritmo delle due facciate, ricomposto in semplicità di grande decoro, classicamente scandite dalle finestre allineate sui tre e quattro piani.

Sono rivalutate nel loro significato architettonico le tre larghe arcate a giorno ritrovate e quello spazio ridiventa il fulcro ideale e geometrico del complesso conventuale.

L’ala ottocentesca su via Untoria è adibita al servizio della Comunità: a pianterreno uffici parrocchiali e spazi, anche nell’ammezzato, per riunioni, per studio, attività associative. I pavimenti dell’intero pianterreno, per la zona pubblica del complesso, sono in marmo chiaro di buona qualità e di facile manutenzione. Estrema cura è stata riservata per i davanzali, i gradini, i corrimano, privilegiata l’ardesia per tutte le rifiniture, preziosamente “alla fratina” i piedritti e gli architrave riquadranti le porte tutte in legno naturale secondo tipologia seicentesca, dove possibile recuperando le esistenti e sempre nel rispetto delle regole di semplicità, sobrietà, secondo lo spirito e le indicazioni dell’ordine del Carmelo.

Al primo piano, altri spazi comunitari e la sala -biblioteca per la sistemazione definitiva del ricco patrimonio di libri, con pavimento in piastrelle “mareggiate” di cotto lombardo.

Per accedervi si è ideata una nuova, moderna scala in ferro dall’atrio-galleria, nient’affatto stridente con il recuperato delle strutture storiche evidenziate, rispettate, valorizzate.

Col secondo stanziamento, cui hanno contribuito, anche, gli aiuti offerti dai parrocchiani, la ripresa dei lavori ha interessato ancora il chiostro che, con la riapertura delle arcate delle gallerie tutt’attorno, del luminoso porticato con le ariose vetrate apribili su tre dei quattro lati, è diventato uno spazio invitante “di incontro” per la gente del quartiere, “sede” di appuntamenti musicali.
L’elemento cromatico, nell’armonioso effetto dell’insieme, gioca, senza dubbio, un ruolo importante: gli ocra in calcolate variazioni di tono (intonaci tutti tradizionalmente “a frattazzo”, ovvero calce e pigmenti naturali) per le facciate esterne su via Untoria e su via N. S. dell’Olmo, si ripetono anche nell’ala Sud, a cinque piani, dominante il complesso con la sua severa volumetria, e anche all’interno, sul chiostro, dove, a sottolineare la diversa età, solo la parete dell’ala ottocentesca è “in rosa ligure” (ottenuto, all’antica, col “cocciopesto”).

Per i pavimenti: la gamma dei marronrosati del prezioso cotto, uscito dalla fabbrica di Sezzadio (il tipo più prestigioso riservato alla tripartita biblioteca) scelto per il primo piano in alternativa ad un marmo bianco di buona qualità e di facile manutenzione per le sale del pianterreno. Il “cotto” anche al secondo piano dell’ala Sud, per il lungo corridoio che, in austerità, dà accesso sui due lati alle celle dei frati, tutte munite dei relativi servizi. Anche a quel piano le superfetazioni, i divisori, le mortificanti aggiunte nel tempo, sono state eliminate nell’intento di rispettare, ripristinare, valorizzare proporzioni e ritmi preesistenti.

Nell’angolo Sud-Est ha trovato posto un provvidenziale ascensore che serve i piani accanto alla “nuova” scala, sobriamente risolta in linee rigorose, tutta in bianco: è nata ex novo, avendo constatato gli onerosi costi del ripristino di quella che il comando militare aveva costruito per sue esigenze alla fine degli anni ’60 dell’800.

La zona di residenza dei Padri è distribuita al secondo piano su Via N.S. dell’Olmo (cucina, dispense, refettorio e celle; altre celle si trovano nel sotto tetto), e su Via Untoria, dove è sistemato un luminoso soggiorno. Al terzo piano, sul lato ovest, sono ricavate alcune stanze per gli ospiti.

I pavimenti delle celle dei Frati piano e dei corridoi sono piastrellati in un “rustico cotto” fatto a mano.

Nel secondo lotto, attuato nel corso del biennio 1997-98, è stata restaurata la facciata della chiesa, protetta da un sistema antivolatili.

Con l’intervento della restauratrice Sabrina Terribile, genovese, e con l’impresa “Regoli” di Gavi Ligure, anche qui molto rigorosa la scelta dei colori preparati dalla ditta “Cepro”. Dopo le scrupolose analisi compiute dal geologo Ricci dell’università di Genova, si è deciso il color nocciola per le grandi campiture, velature di tonalità neutre per gli stucchi a rilievo e per le parti decorative: i capitelli, le lesene, i ricurvi timpani, gli arricciati stipiti, così come per le quattro grandi nicchie con le statue di S. Teresa d’Avila, S. Giuseppe, S. Pietro e S. Giovanni della Croce. Queste si ritengono opera di Stefano Brilla, il primo dei cinque figli dello scultore Antonio.

Il campanile a vela è stato valorizzato dall’innalzamento e dall’aggiunta di quel fastigio terminale, elegante nella linea ondulata, chiusa dai due acuti pinnacoli angolari, ma sobrio secondo le regole della tradizione conventuale.

Alcune lettere, conservate nell’archivio, rivelano un’animata diatriba con i Comandanti della Fortezza del Priamàr: la richiesta dei frati di poter alzare il campanile, secondo un loro preciso desiderio, fu ripetutamente respinta, le risposte negative accompagnate dalla minaccia, nel caso dell’edificazione “di tirarlo giù … a cannonate”!

È stata sistemata anche l’intera zona su via N. S. dell’Olmo e lungo il vico dell’Amore, realizzando il campetto per il gioco dei ragazzi, riservando una zona per il parcheggio e con la demolizione di un capannone del “dopo espropriazioni dell’Ottocento”, si è costruito al suo posto, un ampio salone ricreativo per i giovani.

Ogni parte dello storico complesso conventuale è stata oggetto di attenta comprensione e valutazione dell’esistente, delle stratificazioni, delle modifiche subite nel tempo, prevalente il rispetto delle strutture originarie e l’adesione ideale alle regole di sobrietà, di semplicità e rigore, patrimonio dell’ordine di S. Teresa d’Avila.

Proprio nei lavori programmati nel secondo lotto, ha trovato felice rivalutazione per un mirato riutilizzo, l’allungato salone che fu il refettorio dell’antico convento e che, negli anni ’30-’40 divenne il “cinema S. Pietro” (molti parrocchiani non più giovani lo ricordano meta dei loro pomeriggi domenicali). La classica volta unghiata e le pareti tutte bianche risaltano nel forte contrasto col pavimento in marmo bianco di Carrara e rosso di Francia (a sostituire l’antico, in basoli di arenaria non più recuperabili). Nella camera d’aria sottostante si è ritrovato il pozzo che è stato ricomposto in superficie, all’interno del chiostro. Rivalutata la finestra che permette di gustare la fascinosa visuale prospettica verso il chiostro e oltre, fino alle stanze su via Untoria. Sulla parete lunga opposta a quella verso il cortile con riaperte le tre bucature antiche, nel passato tamponate, è stato messo in risalto il pulpito del “Lettore”, in sporgenza e, a contrasto, scavati, i gradini di accesso (con l’impiego dell’ardesia a segnare il disegno dei bianchi volumi). L’ardesia è stata usata qui e per tutti i davanzali, sguanci di porte e stipiti e per la pavimentazione del terrazzo soprastante l’atrio-galleria (dove sono state impiegate anche lastre recuperate dalle demolizioni).

In via N. S. dell’Olmo è stata creata un’aiuola a giardino con piante e fiori che allieta l’ordinata semplicità del fianco Est del grande complesso.

Una sola porta di ingresso da via Untoria porta al convento e su di essa spicca, ad affresco, lo stemma dell’ordine dei Carmelitani Scalzi col motto ZELO ZELATUS SUM PRO DOMINO DEO EXERCITUUM. All’interno spicca la serena luminosità del porticato galleria, essenziale nelle linee severe, nei ritmi classici, nel gioco prospettico degli archi che si rincorrono e nel gioco alternato dei quadrelli bianchi e neri della pavimentazione.

Sulla terrazza che dà sul chiostro, per la cui pavimentazione sono state utilizzate antiche lastre di ardesia, recuperate nelle demolizioni, la prof.ssa Flavia Folco, con gli apporti determinanti degli amici Lorenzo Basano e Alberto Capelli, ha disegnato nel 1977 una meridiana “a tempo reale locale”, con le linee orarie (francesi) dalle 9 alle 17, il quadrante azzurro sfumato a ricordare il cielo, le iperboli solstiziali dell’estate e dell’inverno con i rispettivi segni zodiacali, la retta equinoziale e quella del mezzodì con la campanella, e due nastri dispiegati in contrapposti riccioli.. . e il motto (suggerito da padre Ignazio Ciet): Hic ad horam Carmelus tecum orat.